VITTIME DI REATI VIOLENTI INTENZIONALI: QUALE TUTELA?

Con L. n. 122/2016 lo Stato italiano ha recepito con notevole ritardo la direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, che all’art. 12, par. 2 impone agli Stati membri dell’Unione europea l’adozione di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti.

L’obbligo di indennizzare le vittime di questi reati è stato posto in capo allo Stato proprio al fine di garantire loro una tutela effettiva, considerando che potrebbe non essere possibile ottenere il risarcimento del danno dall’autore del reato o perché questi è sprovvisto delle risorse economiche necessarie oppure perché potrebbe non essere identificato o perseguito (così come è specificato nel considerando n. 10 della direttiva).

L’introduzione del sistema indennitario imposto dalla direttiva potrebbe, tuttavia, non essere sufficiente per garantire una piena tutela delle vittime dei suddetti reati, soprattutto per le vittime di reati commessi prima della trasposizione della direttiva da parte dello Stato italiano. Il ritardo con cui la direttiva in esame è stata recepita nel nostro ordinamento ha, infatti, impedito ai beneficiari dell’indennizzo di poterne usufruire tempestivamente.

Sul punto, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 26757/2020, dopo aver chiarito che il diritto al risarcimento del danno da omesso o tardivo recepimento di una direttiva comunitaria non self executing da parte dello Stato italiano trova la sua ragione giustificatrice nella “responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria”, non nascente quindi da fatto illecito ex art. 2043 cc (cfr. Cass., III sez. civ., sentenza n. 26757/20, che richiama: Cass., 17 maggio 2011, n. 10813 e Cass., 22 novembre 2019, n. 30502), ha altresì stabilito che, tra le voci di danno che devono essere risarcite, vi rientrino anche le c.d. perdite supplementari.

Il danno risarcibile in conseguenza dell’inadempimento suddetto, infatti, oltre a trovare corrispondenza anzitutto nella misura dell’indennizzo (commisurato alla perdita conseguente all’illecito contrattuale ascrivibile allo Stato), ricomprende anche le c.d. perdite supplementari, cui i beneficiari hanno diritto anche laddove l’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva abbia posto rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della trasposizione tardiva della direttiva stessa, purché questi dimostrino di aver patito dei danni ulteriori “per il fatto stesso di non aver potuto usufruire nel momento previsto dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva” (cfr. Cass,, III sez. civ., n. 26757/2020), che rinvia a CGUE, sentenza del 10 luglio 1997, in procedimenti riuniti C-94/95. Bonifaci e a.; CGUE, sentenza del 24 gennaio 2018, in procedimenti riuniti C-616/16 e C-617/16, Pantuso e a.).

Si pone, così, in capo alle vittime un onere probatorio molto complesso che, evidentemente, costituisce un ulteriore ostacolo alla garanzia di una tutela effettiva delle vittime, atteso che il danno da ritardo non è considerato in re ipsa, quale pregiudizio derivante direttamente dalla circostanza fattuale del tardivo recepimento della direttiva da parte dello Stato italiano (che, ovviamente, ha impedito alle vittime di godere della somma loro dovuta illo tempore), ma, al contrario, necessita di essere provato. E ciò, magari, anche a distanza di anni dal momento in cui la vittima aveva maturato il diritto alla corresponsione dell’indennizzo.

In ordine, invece, alla natura della pretesa indennitaria, il diritto all’indennizzo stabilito dalla L. n. 122 del 2016 costituisce una obbligazione di fonte legale, cui lo Stato è tenuto per effetto dell’attuazione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario, a prescindere dalla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’illecito, che, nel sistema italiano della responsabilità civile (sia contrattuale sia aquiliana), costituisce, invece, il presupposto indefettibile per la liquidazione del danno (Cass, 4 novembre 2020, n. 24474).

La determinazione dell’indennizzo inizialmente avveniva sulla base dei parametri indicati dal D.M. 31 agosto 2017, che, tuttavia, è stato successivamente sostituito dal D. M. 23 agosto 2019 in quanto i precedenti parametri non consentivano alla vittima di conseguire “un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite” (così come è, invece, espressamente previsto nel Considerando 6 della direttiva 2004/80/CE). La Corte di giustizia, con sentenza del 16 luglio 2020, ha, infatti, chiarito che il suddetto indennizzo, liquidato in favore delle vittime di reati intenzionali e violenti, non può considerarsi come “equo ed adeguato” qualora non tenga conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime e, quindi, non sia “un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito”, avendo carattere meramente simbolico. Ciò detto, la Corte di giustizia ha, altresì, chiarito che, entro questi limiti, gli Stati membri godono di un margine di discrezionalità nella determinazione del suddetto indennizzo, il quale, tra l’altro, non deve necessariamente corrispondere al risarcimento del danno cui è tenuto il reo nei confronti della vittima.

Occorre, tuttavia, svolgere una serie di considerazioni sulla misura dell’indennizzo così come stabilita dal legislatore italiano. Sebbene, infatti, il D.M. 23 agosto 2019 abbia aumentato considerevolmente (rispetto al precedente D.M. 31 agosto 2017) il quantum indennizzabile, tuttavia, i nuovi parametri non sembrano essere idonei a garantire un indennizzo “equo ed adeguato per le lesioni subite”.

Il legislatore, infatti, non solo non ha contemplato, in relazione alla stessa tipologia di reato, la possibilità di modulare la misura dell’indennizzo in considerazione delle particolari circostanze del caso concreto, ma non ha nemmeno previsto un indennizzo adeguato e, soprattutto, parametrato al danno complessivamente subito dalla vittima. Danno che, oltre a ricomprendere quello derivante dalle conseguenze negative del reato, riguarda anche (come detto in precedenza) il pregiudizio derivante dal ritardo nella trasposizione della direttiva da parte delllo Stato italiano.

L’indennizzo continua, pertanto, ad essere inidoneo a garantire un ristoro integrale alla vittima per il danno derivante dal reato. Ciò anche in considerazione dell’operatività dell’istituto della compensatio lucri cum damno tra il risarcimento del danno da illecito comunitario e l’indennizzo riconosciuto dalla direttiva, così come statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26757/2020.

La Suprema Corte ha stabilito che trova applicazione il principio, affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità e avallato dalle Sezioni Unite, secondo cui nelle“ipotesi in cui, pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni e al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria (…) vale la regola del diffalco, dall’ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente una cospirante finalità compensativa”.

In definitiva, afferma la Corte, non v’è dubbio che sia il risarcimento del danno da illecito comunitario sia l’indennizzo ex lege siano “conseguenza immediata e diretta” del “fatto comune generatore del reato intenzionale e violento commesso in danno della vittima”. E’, altresì, evidente come entrambi abbiano la funzione, risarcitoria/compensativa, di garantire alla vittima un ristoro per il pregiudizio patito in conseguenza del reato, pregiudizio che non è stato risarcito dal reo.

Alla luce di queste considerazioni, non si comprende il motivo per cui, pur avendo l’indennizzo una funzione analoga a quella svolta dal risarcimento del danno (essendo volto a ristorare la vittima del pregiudizio derivante dal reato), il legislatore abbia previsto per il medesimo una misura molto inferiore a quella normalmente riconosciuta alle vittime di tale tipologia di reati nelle aule di giustizia. Per queste ragioni, si renderebbe opportuna una ulteriore novella legislativa di adeguamento della misura dell’indennizzo corrisposto in favore delle vittime di reati violenti intenzionali, al fine  di rendere il sistema indennitario introdotto dalla L. n. 122/2016 realmente conforme alle previsioni della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004.

Sara Defrancesco – avvocato-

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