Vita e Morte Nell’Articolo 2 Della Convenzione Europea Dei Diritti Dell’Uomo: Lambert&Other Vs France

Vita e morte nell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è questo il tema affrontato dai giudici di Strasburgo nella sentenza resa dalla Grande Camera lo scorso 5 giugno.
Protagonista, suo malgrado, della vicenda è Vincent Lambert, cittadino francese di 39 anni, da sette in stato di “coscienza minima”, a seguito di un incidente stradale avvenuto il 29 settembre 2008.
All’origine della decisione, il ricorso presentato da Pierre e Viviane Lambert, genitori di Vincent, e da due dei suoi fratelli, avverso la sentenza del Conseil d’Etat Francese, che ha autorizzato la sospensione dell’idratazione ed alimentazione artificiale per Vincent, attesa l’entità delle lesioni riportate nell’incidente e l’irreversibilità del conseguente stato vegetativo.
Decisione che, a giudizio dei ricorrenti, costituisce violazione del diritto alla vita di Vincent, tutelato dall’art. 2 CEDU, nonché trattamento inumano e degradante sotto il profilo del successivo art. 3, violazione del diritto al rispetto della vita privata e famigliare tutelato dall’art. 8, nonché dell’art. 6 § 1 (diritto da un processo equo), per asserita parzialità del giudizio espresso dell’equipe medica, favorevole alla sospensione.
Sul versante opposto, accanto allo Stato francese, la moglie di Vincent e gli altri suoi cinque fratelli, contrari all’accanimento terapeutico fine a se stesso e per il diritto di Vincent a morire.
I giudici di Strasburgo ritengono necessaria una doverosa premessa: e cioè l’estrema complessità e delicatezza delle questioni trattate e delle connesse implicazioni mediche, legali ed etiche.
La Corte afferma poi come, in tali casi, spetta alla legge nazionale il compito di operare il delicato bilanciamento tra progresso e scienza medica da un lato, ed implicazioni etiche dall’altro.
Osserva che tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa non vi è un consenso generalizzato in ordine alla sospensione dei trattamenti di idratazione e alimentazione artificiale per i pazienti in stato vegetativo, anche se la legislazione di gran parte di tali Paesi la consenta.
 
Nell’ambito della disciplina di quella “fine della vita”, comunemente chiamata anche morte, i giudici di Strasburgo rilevano che gli Stati membri godono di un margine di apprezzamento non solo con riguardo al “se” autorizzare o meno la sospensione di tali trattamenti ai pazienti, ma anche in ordine al bilanciamento tra il diritto alla vita tutelato dall’art. 2, e quello, parimenti rilevante, del rispetto della vita privata e del libero arbitrio di ogni uomo, tutelati dall’art. 8 della Convenzione medesima.
 
Al riguardo, la Corte rileva che l’art. 2 della Convenzione, nello stabilire, al § 1, che “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. (e che) Nessuno può essere privato intenzionalmente della vita …”, non fissa una linea guida vincolante per gli Stati membri, ma lascia a questi il compito di individuare la struttura normativa più idonea a garantire la tutela di tale diritto supremo.
Alla Corte il compito ultimo di valutare se la normativa approntata dal legislatore nazionale in un ambito così delicato, di sottile confine tra vita e morte, assicuri il rispetto degli obblighi di tutela imposti dalla Convenzione.
I fattori da considerare in questo processo di valutazione sono molteplici, e riguardano:

  • l’idoneità della struttura legislativa nazionale, che deve essere compatibile con le esigenze di tutela imposte dall’art. 2 CEDU;
  • i desideri del paziente, da ricostruire attraverso le opinioni espresse, nonché la sua visione della vita, quella delle persone a lui vicine ed i suoi valori.
  • la possibilità di adire un’autorità giurisdizionale che sia in grado di operare la migliore scelta possibile nell’esclusivo interesse del paziente.
In particolare, con riguardo all’esistenza, nel diritto francese, di una normativa strutturale idonea alla tutela del diritto alla vita del paziente in simili circostanze, la Corte osserva che l’art. 1110-5 del Codice di salute pubblica francese, definisce con chiarezza la differenza tra trattamento terapeutico ed accanimento terapeutico, quest’ultimo solo idoneo a determinare la autorizzazione alla sospensione ai sensi dell’Atto del 22 aprile 2005.
L’accanimento è, invero, secondo la legge nazionale francese, solo quello che appare inutile o sproporzionato, oppure il trattamento che “non ha altro effetto se non quello di mantenere il soggetto in vita artificialmente”.
Con riguardo, poi, al processo decisionale che ha portato alla sentenza impugnata, la Corte rileva che il giudice nazionale ha indicato con precisione all’equipe medica i fattori da tenere in considerazione al fine di stabilire se, nel caso di specie, ricorrevano le condizioni per cui potesse parlarsi di “irragionevole ostinazione”, fissando così due importanti linee-guida e di tutela, riportate nella sentenza.
 
Innanzitutto ha chiarito che lo stato vegetativo non rende automaticamente ingiustificati i trattamenti d’idratazione e alimentazione artificiale, in secondo luogo che la circostanza che, in tali frangenti, siano sconosciute le opinioni del paziente in ordine a tali tipi di trattamento non deve essere intesa, in sé, come rifiuto ad essere mantenuto in vita.
La struttura legislativa interna è quindi, ad avviso della Corte, sufficientemente chiara alla luce degli obiettivi di cui all’art. 2 della CEDU e per la tutela, nel caso specifico, del diritto alla vita di Vincent Lambert.
Il secondo criterio da tenere presente, ai fini della verifica di compatibilità con l’art. 2, è la coerenza della linea strutturale fissata dalla legge con i desiderata del paziente: la visione del mondo dell’individuo, le sue credenze, i suoi valori, che si traducono nelle opinioni espresse prima dell’incidente e riportate poi fedelmente dalle persone a lui vicine nel processo e che sono determinanti ai fini della decisione.
 
La Corte osserva come il giudice nazionale ha tenuto conto di tali fattori, e come, nel caso specifico avesse appurato con certezza, attraverso la testimonianza della moglie di Lambert e di suo fratello, che Vincent in più occasioni aveva espresso contrario avviso all’accanimento terapeutico.
Nel caso specifico, quindi, la Corte ritiene che il giudice interno abbia accertato scrupolosamente la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la decisione di sospensione dell’idratazione ed alimentazione artificiale di Vincent.
Fattori medici e non medici, avuto riguardo alle circostanze di ogni singolo caso ed in particolare: stato irreversibile di incoscienza, desiderata del paziente intesa come visione della vita ed insieme di valori, sua, della sua famiglia o di persone a lui molto vicine.
Ad avviso della Corte, quindi, il giudice nazionale è stato attento e scrupoloso, anche più di quanto, legittimamente, ci si potesse attendere per la decisione di un caso così delicato.
Una decisione razionale e sensata, quella dei giudici di Strasburgo, che non prendono posizione, come erroneamente da più parti è stato scritto, in favore dell’ “eutanasia”, ma fissano, con questa sentenza, le linee guida da seguire nei casi che si pongono al confine tra vita e morte, nei quali il trattamento diventa “irragionevole accanimento”, perché sia assicurato il rispetto del diritto alla vita del paziente e, al contempo, il rispetto della sua dignità di essere umano.
Da qui il contemperamento, necessario, tra articolo 2 e articolo 8. Perché la vita di un uomo non può essere intesa sic et simpliciter come semplice mantenimento delle funzioni vitali, ma deve essere considerata in quella fusione di corpo ed anima che si manifesta nelle opinioni espresse con i comportamenti, nell’insieme di credenze e valori, e quindi, per l’appunto, nella dignità di essere umano.
 
In un mondo dove la scienza raggiunge traguardi impensabili, bisogna fare i dovuti confronti con l’Etica. E fissare, ad avviso di chi scrive, i dovuti distinguo, per impedire che, alla fine, la macchina prenda il sopravvento sull’Uomo invece di rimanere strumentale a questi.
Alla Legge il difficile compito di attuare la giustizia, attraverso il contemperamento di etica e scienza, perché l’individuo non diventi, a sua volta,una macchina, ma rimanga un Uomo.
 
Alla Corte di Strasburgo, il compito di verificare, nel singolo caso concreto, se questo obiettivo è stato raggiunto, attraverso il raffronto e il confronto con gli articoli 2 ed 8 della Convenzione.
Alla coscienza di ognuno il rispetto di un altro diritto intimamente connesso alla natura stessa di essere umano: quello di morire, e con dignità a fronte di una scienza che, artificialmente, consentirebbe di mantenere un soggetto in vita oltre ogni ragionevolezza.

AURORA DE FRANCESCO
AVVOCATO DEL FORO DI LECCE

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