NE BIS IN IDEM E DOPPIO BINARIO SANZIONATORIO: A. and B. contro Norvegia G.C. CEDU del 15/11/2016…e dopo?

Con la sentenza di Grande Camera  del 15/11/2016 resa nel caso A. and B. contro Norvegia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo  “legittima” il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria, affermando che non viola il ne bis in idem di cui all’art. 4 del Prot. 7 della Cedu l’instaurazione di un processo penale contro colui che sia stato già sanzionato in via definitiva dall’Amministrazione fiscale con l’applicazione di un sovrattassa pari al 30% dell’imposta evasa , purchè tra i due procedimenti intercorra una connessione cronologica e sostanziale sufficientemente stretta”

Col ricorso proposto innanzi alla Corte di Strasburgo i ricorrenti, A. e B. , si duolevano di essere stati perseguiti e puniti due volte per il medesimo fatto (evasione fiscale) , in violazione dell’art. 4 prot. 7 della Cedu, per come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Più nello specifico.

I ricorrenti A. e B., a seguito di contestazione di frode fiscale per transazioni finanziarie compiute all’estero e non dichiarate al Fisco – per circa 360.000 euro   con riferimento al sig. A e di 500.000,00 euro con riguardo al sig. B, – furono sanzionati dall’amministrazione fiscale con l’applicazione di una significativa sanzione, pari al 30% dell’importo evaso .

A seguito del pagamento della sanzione fiscale e della definizione del procedimento amministrativo, i ricorrenti vennero anche processati e condannati in sede penale, sulla scorta delle dichiarazioni rese in via amministrativa.

La pena inflitta a livello penale, secondo il Governo norvegese, aveva tenuto in conto quella già irrogata in via amministrativa.

Sostenendo che la sanzione amministrativa presentasse i caratteri propri della “pena” , secondo i criteri Engel, essi affermavano di essere stati illegittimamente processati e sanzionati due volte, in violazione della invocata norma convenzionale di cui all’art. 4 Prot. 7 Cedu.

Stando ai precedenti della Corte, ci si sarebbe aspettato un epilogo conforme a quello attestato dalla Grande Camera Zolotukhin contro Russia e in Grande Steevens contro Italia .

E, invece, in questa pronuncia la portata garantistica della precedente giurisprudenza risulta gravemente limitata .

Essa ripropone il grave interrogativo sulla compatibilità del doppio binario sanzionatorio – e non solo in materia tributaria e di abusi di mercato-  rimettendo all’interprete il gravissimo ruolo di discernere, nel concreto, i casi di violazione della norma convenzionale, attraverso degli “indicatori” tanto labili ed indefiniti e facilmente manipolabili, quanto poco garantisti.

Per dirla con le parole del Giudice Paulo Pinto de Albuquerque, questa sentenza

“apre la strada ad una politica punitiva del moderno Leviatano, basata su procedimenti multipli, strategicamente connessi e posti in essere con lo scopo di raggiungere il massimo effetto repressivo possibile. Una politica che potrebbe risolversi in una storia infinita di due o più procedimenti  condotti progressivamente e successivamente contro lo stesso individuo sulla base degli stessi fatti”.

 La dissenting opinion del Giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Paulo Pinto de Albuquerque  nei confronti della sentenza adottata dalla maggioranza della Grande Camera è durissima,   grave  e  preoccupante.

Essa, invero, conferma la perplessità che pervade il lettore  mentre scorre la sentenza e, cioè, che questa decisione del Giudice Internazionale si conformi più alla logica statale del doppio binario sanzionatorio, piuttosto che rimanere ferma sui principi garantistici a tutela   del diritto inalienabile del ne bis in idem, diritto che la Corte di Strasburgo  sin dalla sentenza Zolotukhin contro Russia  ed ancora di recente in Grande Steevens contro Italia,  ha sempre fortemente tutelato.

Logica che anche la Corte di Giustizia di Lussemburgo, nel caso Fransson, ha  ricusato, dichiarando l’illegittimità della inflizione di una sanzione penale  per un fatto già colpito da una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale.

Forse avrà influito sulla decisione finale il campo di applicazione, quello della materia tributaria , nel quale, probabilmente si è voluto lasciare agli Stati un più ampio margine di “manovra”.

Sicuramente ha condizionato l’esito della decisione la presenza nel caso di specie di altri sei Stati aderenti al Consiglio d’Europa e firmatari del Protocollo 7 della Cedu ( Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Francia, Moldavia, Svizzera), tutti intervenuti a sostegno del Governo Norvegese.

Ed invero non può disconoscersi che la sentenza di non violazione non sia stata fortemente e negativamente influenzata   dalla presenza di un così significativo numero di Stati che, in definitiva hanno rivendicato il diritto di adottare una più efficace politica punitiva per i casi di frode fiscale, così da indurre la Corte Europea ad affermare che   l’art. 4 Prot. 7 Cedu  non esclude, a certe condizioni, che lo Stato possa legittimamente rispondere a condotte socialmente offensive attraverso più procedimenti distinti.

La norma convenzionale non pone, secondo la Corte, un divieto assoluto di comminare, al contempo, una sanzione amministrativa definitiva (sostanzialmente penale) e di perseguire e condannare il reo anche penalmente, nei casi di evasione fiscale per il medesimo fatto.

Lo Stato può decidere se la risposta adeguata ad una condotta fraudolenta , nel caso di specie riguardante una evasione fiscale particolarmente significativa, debba consistere oltre all’applicazione di una importante sanzione amministrativa, anche di quella penale.

Ciò che rileva ai fini della valutazione del rispetto della norma convenzionale è il fatto che i due procedimenti devono essere strettamente connessi dal punto di vista temporale e sostanziale ed essi devono assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e comunque prevedibili.

Tuttavia, come giustamente rilevato dal Giudice dissenziente, il criterio della “connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta” tra i due procedimenti, è un parametro vaghissimo e labile, rimesso ad indicatori facilmente manipolabili , vieppiù in assenza di più precisi requisiti che possano valere, in concreto, ad identificarlo.

Le conclusioni della dissenting opinion del giudice della Corte Paulo Pinto De Albuquerque  ci offrono un momento importante di riflessione, anche sulle ripercussioni e conseguenze di questa sentenza su un, auspicabile, spazio comune europeo di tutela dei diritti umani, dove il loro rispetto molto spesso si dà per scontato , senza renderci conto che, invece, essi vengono quotidianamente calpestati, attraverso comportamenti che si legittimano in forza di norme , leggi , interpretazioni che si traducono in vere e proprie ingiustizie:

“ … la maggioranza ha deciso di abbandonare il fondamentale principio nella cultura giuridica europea che la stessa persona non può essere punita due volte per lo stesso fatto ….Il ne bis in idem ha perso il suo carattere pro persona, sovvertito da una rigorosa posizione pro auctoritate della Corte. Esso non è più [inteso dalla Corte come ] una garanzia individuale , ma [piuttosto come ]uno strumento per evitare “manovre ed impunità” dell’imputato. “

“La Grande Camera in Sergey Zoloutukhin non sarebbe stata d’accordo a degradare il diritto individuale ed inalienabile del ne bis in idem ad un simile diritto fluido, angusto, in una parola illusorio. Io nemmeno”

 avv. Iolanda De Francesco

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